Cartografie di guerra

Trucchio, Aldo Cartografie di guerra. In: Cartografie di guerra. Mimesis.

Documento PDF - Requires a PDF viewer such as GSview, Xpdf or Adobe Acrobat Reader
505Kb

Abstract

A proposito dello scritto Zum ewigen Frieden di Kant, tradotto solitamente ‘Per la pace perpetua’, non si ribadisce abbastanza spesso che il titolo è ironico: si rifà difatti all’insegna di una famosa osteria olandese, che alla scritta accompagnava il disegno di un cimitero – come a dire che grazie alla birra si trovano serenità e riposo. ‘Zum’ è allora da tradurre piuttosto con ‘alla’, in maniera più consona al nome di una osteria (‘alla vecchia cantina’ e non ‘per la vecchia cantina’). Inoltre il termine ‘ewigen’ è quello utilizzato nelle preghiere per indicare l’eternità. In effetti, il titolo kantiano dovrebbe essere trasposto con un ironico ‘Alla pace eterna’. Ed è proprio questa ironia a conferire senso a un testo politicamente fragile, poiché il titolo serve appunto a sottolineare la consapevolezza del suo assoluto utopismo: altrove, difatti, va cercato il vero pensiero politico di Kant, soprattutto a partire dalla Critica del giudizio (cfr. soprattutto Arendt 1982). Ma l’ironia kantiana, tutto sommato ottimistica, è stata superata dalle tragedie della storia. Il pacifismo giuridico inaugurato da Kant e perpetuato da Kelsen (e poi da Bobbio e Habermas), che indica nel diritto e nelle istituzioni internazionali lo strumento per realizzare la pace e tutelare i diritti fondamentali degli uomini, è risultato del tutto fallimentare. La formula kelseniana ‘peace through law’ nasceva dall’idea che il fallimento della Società delle Nazioni fosse dovuto al fatto che al suo vertice era stato messo un consiglio di tipo politico e non una corte indipendente, un’autorità giudiziaria neutrale e imparziale. Secondo Kelsen, sempre sulla scorta della concezione kantiana del diritto internazionale come ‘cosmopolitico’, tale Corte avrebbe dovuto giudicare anche chi, svolgendo attività di governo, siera macchiato di crimini di guerra; e gli Stati avrebbero dovuto poi deferire a essa i colpevoli. Ma l’internazionalismo giudiziario di stampo kelseniano, che ispirò le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, si è dovuto scontrare con la realtà dei fatti: i tribunali vengono inevitabilmente istituiti e finanziati dalle potenze vincitrici, ‘da Norimberga a Baghdad’ (Zolo 2006), e mai nessun ‘criminale di guerra’ delle potenze vincitrici è stato processato, sebbene sia impossibile non definire in tal modo, solo per fare l’esempio più noto, chi ha deciso o chi ha eseguito il bombardamento di Dresda o lo sgancio delle bombe atomiche sul Giappone quando la Seconda guerra mondiale era già finita, dunque al solo scopo di annullare le industrie concorrenti (come quella dell’automobile), rendere impossibile una ricostruzione in tempi brevi e soprattutto imporsi in determinate aree geografiche a dispetto delle altre potenze vincitrici. La ‘pace eterna’ kantiana si è configurata allora storicamente, e fino ai nostri giorni, come una pace imperiale, come la pace puntellata sulle rovine sulle quali si è appena consumata un’operazione di guerra che le istituzioni internazionali hanno riconosciuto come operazione di polizia internazionale, guerra umanitaria o reazione a una aggressione. L’idea di ‘aggressione terroristica’ è particolarmente interessante da questo punto di vista: viene messo in opera un dispositivo metonimico che pretende di considerare un’azione violenta compiuta da pochi uomini, da un gruppo più o meno isolato, come un atto di aggressione verso uno stato, che si può allora difendere intervenendo colpendo un altro stato, ritenuto in qualche modo implicato coi terroristi. Non è necessario insistere ulteriormente su eventi noti a tutti. Ma se pure l’idea che i conflitti in ambito internazionale possano essere gestiti attraverso un’autorità giudiziaria sovranazionale neutrale è risultata evidentemente fallimentare, meno evidente è forse quella ideologia della neutralizzazione dei conflitti che caratterizza la modernità – che preferiamo chiamare ‘capitalismo’, a breve sarà chiaro il perché – fin dai suoi esordi, e che rappresenta l’essenza, il non-detto della politica fino ai nostri giorni. Pur nella consapevolezza di semplificare eccessivamente, è lecito affermare che il pensiero politico di Kant si muove ancora nell’orizzonte contrattualistico hobbesiano: lo Stato nasce da un patto originario e il fine delle istituzioni e del diritto è la pacificazione sociale. L’innovazione kantiana rispetto a questo paradigma consiste nell’estensione di tali argomenti a tutto il pianeta, sostituendo parallelamente il tema hobbesiano della limitatezza delle risorse disponibili, che genera conflitti tra gli uomini, con quello della limitatezza dello spazio disponibile alla nostra coabitazione. È allora ancora una volta da Hobbes che occorre ripartire.

Tipologia del documento:Contributo in un libro
Settori scientifico-disciplinari del MIUR:AREA 11 - Scienze storiche / filosofiche / pedagogiche e psicologiche > FILOSOFIA MORALE
AREA 14 - Scienze politiche e sociali > FILOSOFIA POLITICA
Codice identificativo (ID):1566
Depositato da:Dott. Aldo Trucchio
Depositato il:20 Giu 2012 09:44
Ultima modifica:20 Giu 2012 09:44

Riservato allo Staff dell'Archivio: Accedi al record del documento